Giovanni Pacchin è un giovane operatore che svolge la sua opera presso la comunità per minori non accompagnati Don Milani di Tessera. L'abbiamo invitato  a presentare al Saba, all'interno dell'iniziativa "Incontri con l'autore", la tesi con la quale l'anno scorso si è laureato. Questo articolo è la sintesi, scritta di suo pugno,  della comunicazione assai apprezzata che ha tenuto presso la nostra sede di via Cavallotti.

 

 

 

 

 

Tsunesaburo MAKIGUCHI
Soka Kyoikugaku Taikei

 

 

 

Tsunesaburo MAKIGUCHI
L'educazione creativa

 

 

 

 

di Giovanni Pacchin

 

Tsunesaburo Makiguchi:
il valore dell’educazione

 

Durante la ricerca per la preparazione della mia tesi di laurea in Scienze dell’Educazione mi sono imbattuto in un articolo dove compariva un autore giapponese, Tsunesaburo Makiguchi, vissuto a cavallo tra gli ultimi anni dell’800 e la prima metà del ‘900, che trovai sì sconosciuto, ma allo stesso tempo molto interessante.

La sua figura di filosofo, insegnante ed educatore, mi ha incuriosito e attirato fin da subito: sicuramente per una vicinanza non solo teoretica, ma anche di sensibilità. Il pensiero, le riflessioni tratte dalla sua esperienza, il suo percorso di vita hanno immediatamente colpito la mia attenzione; la natura dei suoi studi da autodidatta, il contesto sociale e culturale che ha dovuto affrontare, le idee sull’educazione e sulla figura dell’educatore, ancora oggi attuali e feconde, sono stati uno stimolo importante per il proseguimento del mio lavoro, aumentando la mia ammirazione nei suoi confronti. Inoltre approfondire il pensiero di un autore così diverso, particolare e poco studiato mi ha dato la possibilità di approcciarmi in modo autentico e diretto con una cultura e una mentalità differenti da quelle finora affrontate nel mio percorso di studi.

Makiguchi visse in un’epoca fondamentale della storia giapponese, che vide il paese del Sol Levante passare da uno stato feudale a una nazione capace di competere con le potenze occidentali, come avvenne nelle due Guerre Mondiali: fu un’epoca di profonde e repentine trasformazioni sul piano politico, economico e sociale. Il Giappone divenne uno stato fortemente centralizzato, guidato dall’Imperatore e da una ristretta élite, attraverso una ideologia nazionalista diffusa tramite il sistema scolastico; il dissenso era praticamente nullo, e la classe intellettuale era asservita alla ristretta oligarchia al potere.

È in questo contesto, paragonabile per molti aspetti alla situazione in Germania (nazismo) e Italia (fascismo) che visse e maturò le sue idee Makiguchi, avverse e in conflitto con i dettami del regime imperialista.
Makiguchi nacque nel 1872, divenne prima insegnante e poi direttore scolastico, fino a quando non fu costretto a lasciare il lavoro per la sua opposizione al regime. Non poté più praticare l’università, coltivò quindi gli studi da autodidatta: rifiutava i circoli accademici, preferendo la ricerca sul campo e una riflessione teorica che partiva dall’esperienza concreta e quotidiana. I risultati furono tre libri, di cui il più importante è intitolato Soka Kyoikugaku Taikei (Il sistema della pedagogia creatrice di valore), dove troviamo la sintesi del suo sistema educativo. L’intento principale del nostro autore è stato quello di elaborare una pedagogia veramente efficace e a contatto con la realtà: da un lato la sua riflessione verte sulla questione del metodo, ovvero sul come e perché agire; dall’altra tenta di fondare il suo impianto su un sistema antropologico centrato sulla definizione data da Aristotele dell’essere umano come “politikòn zoon” (animale politico) e del suo essere-in-relazione con la società. Morì nel 1944 in prigione, a causa del rifiuto di rinnegare i suoi principi, in aperto contrasto con quelli del governo.

Fine dell’educazione è la felicità dell’educando, per “rendere i bambini capaci di diventare degli individui responsabili, cellule sane dell’organismo sociale in grado di contribuire al benessere della collettività”(1): in quest’ottica l’agire educativo punta sì alla felicità dell’individuo, ovvero allo sviluppo delle sue potenzialità, ma non finalizzate a se stesse (come vorrebbe l’individualismo), bensì al miglioramento del contesto sociale. Entrando dentro alla sua riflessione emerge un filo che attraversa i suoi ragionamenti, ed è il tentativo di tenere assieme l’individuo e la società, la sua unicità che lo rende differente e la sua universalità che lo accomuna agli altri: è il rifiuto di una visione unilaterale, per cercare di mantenere vive quelle dicotomie che appartengono all’essere umano e ne rispecchiano la sua complessità. Makiguchi cerca di conciliare questi opposti, senza cadere in uno o nell’altro estremo: la propria realizzazione individuale è dentro e passa per una crescita del benessere sociale. Fondamento di questa visione è la concezione dell’essere umano come aperto al mondo, non pre-costituito come gli animali ma visto come essere in potenza: può diventare uomo, come anche non diventarlo. L’educazione, in quanto processo di umanizzazione, è ciò che consente all’uomo di esprimere pienamente la sua umanità.

Entra quindi in campo uno dei concetti chiave del maestro giapponese: il valore. L’attività propria e che caratterizza l’essere umano è la creazione di valore, che significa apprendere dall’esperienza per “trasformare ciò che la natura offre e volgerlo a beneficio dell’umanità”(2). Nell’azione educativa, per Makiguchi, non è importante la verità, ovvero l’espressione delle cose come sono, ma il valore, ovvero la relazione che esiste tra la persona e ciò che ha di fronte: ciò che conta non sono i fatti o un principio da trasmettere, ma il senso che hanno per l’educando. L’educatore non deve tenersi distante, ma porsi in ascolto per entrare in contatto e relazionarsi con il soggetto dell’agire.

Nel corso della sua quotidianità l’educando si trova a compiere differenti scelte, basate su un modello piramidale (bellezza-guadagno-bene), concepito sulla falsa riga di quello platonico: una scelta ha valore se contribuisce a mantenere l’esistenza dell’uomo, secondo la concezione antropologica espressa in precedenza. La bellezza riguarda un aspetto particolare della vita dell’individuo, legato al soddisfacimento del suo piacere; il guadagno riguarda la totalità della persona, che contribuisce allo sviluppo della sua vita; il bene si riferisce al miglioramento della collettività, e più in generale dell’umanità. Ruolo dell’educazione è impedire il ripiegamento egoistico del soggetto su di sé per far emergere una coscienza sociale, in modo che l’individuo riesca a coniugare e sviluppare in modo armonioso queste tre dimensioni dell’agire.

Porre come base dell’azione educativa il valore significa uscire da un’impostazione oggettiva e ideale, che si propone di affermare e imporre la propria verità, per costruire un metodo capace di agire sull’essere umano, che ha l’obiettivo di sviluppare le sue potenzialità per il bene di tutti. Se si pensa all’oggi, caratterizzato da una parte dall’imperante ideale di autorealizzazione, centrato sul sé (3), e dall’altra da un relativismo assoluto, che rifiuta ogni pretesa di verità, riproporre la teoria del valore non sembra del tutto fuori luogo, in quanto potenzialmente capace di uscire da una logica individualista. Per fare questo, però, è necessario proseguire il discorso di Makiguchi compiendo un piccolo passo ulteriore, andando a recuperare il ruolo della verità, un po' troppo frettolosamente lasciata per strada.

Il filosofo e pedagogista giapponese vedeva la verità come un concetto razionale e oggettivo e, a mio avviso, riduttivo. Cercare la verità non significa solo interpretare la realtà, e agire in base all’idea che abbiamo costruito, ma è uno stile di pensiero che si configura come un domandare, in una forma che può essere definita “dialogica”. Nel contesto educativo, e quindi pratico, per essere trasmessa, la verità da dialogica deve diventare personalistica, configurandosi come testimonianza di un valore che non è creato dalla propria mente, ma da cui si è attirati e verso cui si tende: testimoniare il desiderio di una vita buona in cui ci si identifica (la verità) diventa il solo metodo per rispettare la libertà e la personalità dell’Altro che ci sta davanti, l’educando, senza per questo cadere in un appiattimento dove tutto è uguale e dove, quindi, tutto ha lo stesso valore. L’educatore assume così il ruolo di colui che sa che esiste una verità e la trasmette, attraverso la propria testimonianza, creando valore. Non è sufficiente però il solo trasmettere dei valori, e quindi il far volere qualcosa di bello, utile, buono, ma è fondamentale anche accompagnare l’azione educativa con un significato, affinché possa interiorizzarli.

Makiguchi lascia una grande eredità, una visione di educatore come creatore di valori, dove la verità, di per sé distante dalla persona dell’educando, anche se magari conosciuta in modo astratto e intellettuale, viene trasformata per mezzo della testimonianza in un bene soggettivo, personale e proprio, da realizzare nella quotidianità della vita.

 


1 Tsunesaburo MAKIGUCHI,
L’educazione creativa, Milano, La Nuova Italia, 2001, pag. 8

2 Tsunesaburo MAKIGUCHI,
L’educazione creativa, Milano, La Nuova Italia, 2001, pag. 38

3 Charles TAYLOR, Il disagio della modernità, Bari, Laterza, 2006, pag. 18